
DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Gv 14, 27-31)
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: «Vado e tornerò da voi». Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate. Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco. Alzatevi, andiamo via di qui…».

1. AVE VERUM CORPUS
(W.A. MOZART)
Ave verum Corpus
natum de Maria Virgine,
vere passum,
immolatum in cruce
pro homine.
Cujus latus perforatum
unda fluxit et sanguine,
esto nobis praegustatum
in mortis examine.

Ave, o vero corpo,
nato da Maria Vergine,
che veramente patì
e fu immolato
sulla croce per l’uomo,
dal cui fianco squarciato
sgorgarono acqua e sangue:
fa’ che noi possiamo
gustarti
nella prova suprema
della morte.
DALL’ENCICLICA PACEM IN TERRIS DI GIOVANNI XXIII (18-20)
La convivenza fra gli esseri umani è quindi ordinata, feconda e rispondente alla loro dignità di persone, quando si fonda sulla verità, conformemente al richiamo dell’apostolo Paolo: “Via dunque da voi la menzogna e parli ciascuno col suo prossimo secondo verità, poiché siamo membri gli uni degli altri” (Ef 4,25). Ciò domanda che siano sinceramente riconosciuti i reciproci diritti e vicendevoli doveri.
Ed è inoltre una convivenza che si attua secondo giustizia o nell’effettivo rispetto di quei diritti e nel leale adempimento dei rispettivi doveri; che è vivificata e integrata dall’amore, atteggiamento d’animo che fa sentire come propri i bisogni e le esigenze altrui, rende partecipi gli altri dei propri beni e mira a rendere sempre più vivida la comunione nel mondo dei valori spirituali; ed è attuata nella libertà, nel modo cioè che si addice alla dignità di esseri portati dalla loro stessa natura razionale ad assumere la responsabilità del proprio operare.
La convivenza umana, venerabili fratelli e diletti figli, deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si
articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante.
L’ordine tra gli esseri umani nella convivenza è di natura morale. Infatti, è un ordine che si fonda sulla verità; che va attuato secondo giustizia; domanda di essere vivificato e integrato dall’amore; esige di essere ricomposto nella libertà in equilibri sempre nuovi e più umani.
2. ANIMA CHRISTI (M. FRISINA)
RIT. Anima Christi,
sanctífica me
Corpus Christi, salva me
Sanguis Christi,
inébria me
Aqua láteris Christi,
lava me.
Pássio Christi, confórta me
O bone Iesu, exáudi me.
Intra tua vúlnera
abscónde me.
Ne permíttas a te me separári.
Ab hoste malígno defénde me.
In hora mortis meæ
voca me.
Et iube me veníre ad te,
ut cum sanctis tuis laudem te
per infinita sǽcula
sæculórum. Amen.
Anima di Cristo, santificami
Corpo di Cristo, salvami.
Sangue di Cristo, inebriami
Acqua del costato di Cristo, lavami.
Passione di Cristo, confortami.
O buon Gesù, esaudiscimi.
Dentro le tue ferite nascondimi.
Non permettere
che io mi separi da te.
Dal nemico maligno difendimi.
Nell’ora della mia morte chiamami.
Comandami di venire a te, perché
con i tuoi Santi io ti lodi
nei secoli dei secoli. Amen
DAL «CATECHISMO» DI SAN GIOVANNI MARIA VIANNEY, SACERDOTE
(Catéchisme sur la priére: A. Monnin, Esprit du Curé d’Ars, Parigi, 1899, pp. 87-89)
Fate bene attenzione, miei figliuoli: il tesoro del cristiano non è sulla terra, ma in cielo. Il nostro pensiero perciò deve volgersi dov’è il nostro tesoro. Questo è il bel compito dell’uomo: pregare ed amare. Se voi pregate ed amate, ecco, questa è la felicità dell’uomo sulla terra.
La preghiera nient’altro è che l’unione con Dio. Quando qualcuno ha il cuore puro e unito a Dio, è preso da una certa saovità e dolcezza che inebria, è purificato da una luce che si diffonde attorno a lui misteriosamente. In questa unione intima, Dio e
l’anima sono come due pezzi di cera fusi insieme, che nessuno può più separare.
Come è bella questa unione di Dio con la sua piccola creatura! E’ una felicità questa che non si può comprendere. Noi eravamo diventati indegni di pregare. Dio però, nella sua bontà, ci ha permesso di parlare con lui. La nostra preghiera è incenso a lui quanto mai gradito.
Figliuoli miei, il vostro cuore è piccolo, ma la preghiera lo dilata e lo rende capace di amare Dio. La preghiera ci fa pregustare il cielo, come qualcosa che discende a noi dal paradiso. Non ci lascia mai senza dolcezza. Infatti è miele che stilla nell’anima e fa che tutto sia dolce.
Nella preghiera ben fatta i dolori si sciolgono come neve al sole.
Anche questo ci dà la preghiera: che il tempo scorra con tanta velocità e tanta felicità dell’uomo che non si avverte più la sua lunghezza. Ascoltate: quando ero parroco di Bresse, dovendo per un certo tempo sostituire i miei confratelli, quasi tutti malati, mi trovavo spesso a percorrere lunghi tratti di strada; allora pregavo
il buon Dio, e il tempo, siatene certi, non mi pareva mai lungo.
Ci sono alcune persone che si sprofondano completamente nella preghiera come un pesce nell’onda, perché sono tutte dedite al buon Dio. Non c’è divisione alcuna nel loro cuore. O quanto amo queste anime generose! San Francesco d’Assisi e santa Coletta vedevano nostro Signore e parlavano con lui a quel modo che noi
ci parliamo gli uni agli altri.
Noi invece quante volte veniamo in chiesa senza sapere cosa dobbiamo fare o domandare! Tuttavia, ogni qual volta ci rechiamo da qualcuno, sappiamo bene perché ci andiamo. Anzi vi sono alcuni che sembrano dire così al buon Dio: «Ho soltanto due parole da dirti, così mi sbrigherò presto e me ne andrò via da te». Io penso sempre che, quando veniamo ad adorare il Signore, otterremmo tutto quello che domandiamo, se pregassimo con fede proprio viva e con cuore totalmente puro.
3. ATTO D’AMORE (M. FRISINA)
Ti amo, o mio Dio,
e il mio desiderio
è di amarti
fino all’ultimo respiro.
Ti amo, o mio Dio
infinitamente amabile,
e preferisco morire
amandoti che vivere
un solo istante senza amarti.
Ti amo, Signore,
e l’unica grazia che ti chiedo
è di amarti eternamente.
Ti amo, o mio Dio,
e desidero il cielo
soltanto per avere la felicità
di amarti perfettamente.
Mio Dio, se la mia lingua
non può dire ad ogni istante,
ad ogni ora “Ti amo”,
il mio cuore te lo ripeta
ogni volta che respiro.
Ti amo, Signore,
e l’unica grazia che ti chiedo
è di amarti eternamente
DA MARIA, DONNA DEI NOSTRI GIORNI DI DON TONINO BELLO
«Nunc et in hora mortis nostrae».
«Adesso e nell’ora della nostra morte».
Viene da chiedersi, comunque, perché mai l’Ave Maria essenzializzi a tal punto l’implorazione da ridurla a una sola richiesta. Le ragioni possono essere due.
Anzitutto, Maria è esperta di quell’ora. Perché fu presente all’ora del Figlio. Ne visse, cioè, da protagonista la peripezia suprema di morte e glorificazione, verso cui precipita tutta la storia della salvezza. In quell’ora, Gesù le ha consegnato i suoi fratelli simbolizzati da Giovanni, perché li considerasse come suoi figli.
Da quel momento lei è divenuta guardiana della nostra ultima ora, e si rende presente in quella frazione di tempo in cui ognuno di noi si gioca il suo eterno destino.
Il secondo motivo sta nel fatto che l’hora mortis è un passaggio difficile. Un transito che mette paura, per quella carica di ignoto che si porta incorporata. Una transumanza che sgomenta, perché è l’unica che non si può programmare nei tempi, nei luoghi e nelle modalità. È come affrontare un’ esile passerella di canne che oscilla sul vortice di un larghissimo fiume, pronto a inghiottirti.
Di qui, il realismo della preghiera: «Ora pro nobis… nunc et in hora mortis nostrae».
Tu, cioè, che sei esperta di quell’ora, dacci una mano perché ognuno, quando essa scoccherà sul quadrante della sua vita, l’accolga con la serenità di Francesco d’Assisi: «Laudato sii, mi Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente può scappare».
Santa Maria, donna dell’ultima ora, quando giungerà per noi la grande sera e il sole si spegnerà nei barlumi del crepuscolo, mettiti accanto a noi perché possiamo affrontare la notte. È un’esperienza che hai già fatto con Gesù, quando alla sua morte il sole si eclissò e si fece gran buio su tutta la terra.
Questa esperienza, ripetila con noi. Piàntati sotto la nostra croce e sorvegliaci nell’ ora delle tenebre. Liberaci dallo sgomento del baratro. Pur nell’eclisse, donaci trasalimenti di speranza. Infondici nell’ anima affaticata la dolcezza del sonno.
Che la morte, comunque, ci trovi vivi!
Se tu ci darai una mano, non avremo più paura di lei. Anzi, l’ultimo istante della nostra vita lo sperimenteremo come l’ingresso nella cattedrale sfolgorante di luce, al termine di un lungo pellegrinaggio con la fiaccola accesa. Giunti sul sagrato, dopo averla spenta, deporremo la fiaccola. Non avremo più bisogno della luce della fede che ha illuminato il nostro cammino. Ormai saranno gli splendori del tempio ad allagare di felicità le nostre pupille.
Fa’, ti preghiamo, che la nostra morte possiamo viverla così. Santa Maria, donna dell’ultima ora, il Vangelo ci dice che Gesù quando sulla croce emise lo spirito, reclinò il capo.
Probabilmente, come molti artisti hanno intuito, il suo capo egli lo reclinò sul tuo: nello stesso atteggiamento di abbandono di quando, ancora bambino, lo coglieva il sonno. Ritta sotto il patibolo, forse su uno sgabello di pietra, diventasti così il suo cuscino di morte.
Ti preghiamo: quando pure per noi giungerà il momento di consegnarci al Padre, e nessuno dei presenti sarà in grado di rispondere ormai ai nostri richiami, e sprofonderemo in quella solitudine che neppure le persone più care potranno riempire, offrici il tuo capo come ultimo guanciale.
Il calore del tuo volto, in quell’estremo istante della vita, evocherà dalle tombe mai aperte della nostra coscienza un altro istante: il primo dopo la nascita, quando abbiamo sperimentato il calore di un altro volto, che rassomigliava tanto al tuo. E forse solo allora, sia pure con le luci fioche della mente che si spegne, capiremo
che i dolori dell’agonia altro non sono che travagli di un parto imminente.
4. A MARIA DESOLATA
(canonico Cepollaro su versi del vescovo Pasquale Berardi)
Eri bella come rosa,
la di Gerico sul prato.
Or sì mesta, sì pietosa,
dal sembiante scolorato,
sembri al suol reciso fiore,
ricoperto di pallore!
Muta ognor ripensi afflitta,
l’Unigenito tuo Figlio,
d’una spada al sen trafitta,
con la lagrima sul ciglio:
sei da tutti abbandonata,
Madre santa desolata! (2x)

Canta, o flebile veggente:
a chi fia che ti somigli,
di Sion figlia dolente?
Fra le angustie e fra i perigli,
grande, o Madre del Signore,
come il mare è il tuo dolore!
Tu che passi per la via,
vedi e dì se mai fu pena,
sì crudel come la mia
e se puoi tu il pianto frena:
sei da tutti abbandonata,
Madre santa desolata! (2x)
5. MISERICORDIAS DOMINI (TAIZE’)
Misericordias Domini in aeternum cantabo
DA “DAL COSTATO TRAFITTO LA SORGENTE DELLO SPIRITO” di M. MAGRASSI
L1: Con la morte salvifica egli è diventato, proprio nella concretezza della sua persona, la nostra salvezza. La salvezza si compie nel mistero filiale di Cristo, di cui la Pasqua è il vertice. E questo, grazie alla pienezza dello Spirito che il Padre gli comunica e che egli effonde su di noi, perché comunichiamo al suo stesso rapporto col Padre. L’esclamazione “Abbà” che sgorga dal cuore (da quello di Cristo e dal nostro) non è un grido dello Spirito? Mentre muore, Cristo non si abbandona forse nelle mani del Padre con fiducia illimitata, consegnandosi all’Amore?… RIT
L2: Ora la Pasqua è la più grande epifania dell’Amore. I fiotti dello Spirito scaturiscono dal costato trafitto, perché lì palpita l’Amore di cui non c’è uno più grande. È questo l’amore che fa della moltitudine un essere unico, che fa la “comunione dello Spirito” … RIT
L1: L’amore quando è autentico è una legge che si fa osservare da sé. Se accolgo in me la potenza dello Spirito, ogni azione diventa incandescente d’amore. Agisco perché amo. È così che il Cristo si avvia alla passione: “Affinchè il mondo sappia che io amo il Padre, alzatevi, andiamo” … RIT
L2: Chi è animato dallo Spirito va verso Cristo, lo sceglie nella certezza di essere stato scelto da lui, lo mette al centro della vita, lo accoglie nel proprio spazio interiore, e nel mimetismo dell’amore è teso a riprodurlo “moribus et vita”, lo scopre presente in tutto e in tutti, fa di lui l’alfa e l’omega, il senso ultimo
dell’esistenza… RIT
L1: La morale pasquale è quindi una morale del desiderio. Lo Spirito risveglia in noi costantemente questo desiderio: “Vieni tu in me che sei diventato desiderio”. Egli scuote la sazietà, suscitando la ricerca; spinge verso il “nuovo”, svelando l’insufficienza dell’oggi… RIT
L2: C’è un ultimo aspetto che si impone nella morale dello Spirito. Egli ci spinge a soffrire e a morire con Cristo, per aver parte alla sua gioia. Non è una gioia spensierata e gaudente. È la gioia degli Apostoli che “se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per il nome di Gesù”. senza lo Spirito della Pasqua la sofferenza è una prigione, e la morte è la solitudine assoluta; con lo Spirito consolatore, la morte ci offre la chiave del Regno, l’inizio dell’amore senza fine… RIT
6. PACEM IN TERRIS
(M.FRISINA)
Pace,
sublime dono del Signore,
carezza dello Spirito,
vieni sul mondo
a consolare ogni uomo,
a risanare ogni cuore
ferito dal peccato.
Pacem, Pacem,
dona nobis pacem in terris.
